Il Copione e le posizioni di vita: 2 concetti utili per comprendere la radice dei problemi psicologici ed operare verso la cura ed il benessere.
Il concetto a cui principalmente faccio riferimento nella comprensione della radice dei problemi psicologici è quello di copione. Di seguito illustrerò, brevemente, cosa si intende per copione secondo i teorici dell’AT, integrando le teorie classiche con le più recenti ricerche in campo evolutivo. Infine spiegherò come tale concetto sia legato con il mio modo di intendere il benessere psicologico.
Berne ha definito il copione “un piano di vita inconscio che si basa su di una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi, e che culmina in una scelta decisiva” (Berne, 1972, 272). Quando il bimbo piccolo scrive la propria vita, ne scrive anche la scena finale. Nel linguaggio tecnico, questa scena finale è chiamata tornaconto. Quando da adulti mettiamo in scena il nostro copione, senza saperlo scegliamo dei comportamenti che ci facciano avvicinare al tornaconto.
Per Berne il bambino decide quale sarà il suo piano di vita ed esso non è determinato unicamente dalle forze esterne quali i genitori o l’ambiente. Le decisioni di copione del bambino non sono prese nel modo riflessivo e deliberato che noi associamo alle decisioni prese dall’adulto. Le prime decisioni derivano da emozioni e vengono prese prima ancora che il bambino abbia la capacità di parola. Dipendono inoltre da un tipo di esame di realtà diverso da quello effettuato dagli adulti (Stewart & Joins, 1987).
Le decisioni di copione rappresentano la migliore strategia che ha il bambino per sopravvivere in un mondo che spesso sembra ostile se non minaccioso per la sua vita. Per tutti gli anni della formazione del copione il bambino è in una posizione d’inferiorità; percepisce i genitori come dotati di potere totale e nell’infanzia questo potere è potere di vita o di morte che in un secondo momento sarà il potere di soddisfare i suoi bisogni o lasciarli insoddisfatti.
Rispetto ad alcuni punti nodali del concetto di copione concordo con il pensiero critico di alcuni autori (Cornell, 1988; English, 1977) nel ritenere che nella definizione data da Berne rispetto al copione, emerge una concezione in prevalenza determinista in cui il risalire lungo la catena di cause ed effetti ha lo scopo di ritrovare la causa prima e, cioè, la decisione di copione presa per effetto della programmazione parentale (Ferro, 1991). Ne consegue che il copione viene ad essere vissuto dagli stessi pazienti come “destino fatale” (Allen e Allen, 1988) e rischia di diventare una profezia che si auto-adempie.
Secondo la disamina critica di Cornell, l’immagine che Berne propone, quella di un lattante impotente e dipendente, legato e programmato dalla madre e dalla famiglia, non regge alla luce delle ricerche attuali che, invece, suggeriscono che i neonati influenzano e modellano i propri genitori tanto quanto i genitori modellano loro. (Cornell, 1988).
Anche Steiner (1974) presenta il bambino che si sviluppa come la vittima di una famiglia e di un ambiente sociali negativi. Egli, però, dà più importanza di Berne alle forze sociali, culturali ed economiche che influenzano l’evoluzione del senso di sé, dell’autonomia e delle possibilità del bambino, ma continua ad attribuire troppo potere alla famiglia nucleare. Nella matrice di copione l’enfasi posta essenzialmente sulla famiglia nucleare sembra limitante, ostacolando la comprensione della vasta gamma di fattori che influenzano in modo significativo lo sviluppo umano. Il concetto di copione e le immagini usate per rappresentarlo devono includere anche l’influenza attiva che il bambino esercita sull’ambiente circostante (Cornell, 1988).
La English (1977) ritiene che il copione sia anche necessario e sano, come schema di orientamento alla realtà e come processo di auto-definizione psicologica; l’autrice sostiene che tutti noi abbiamo bisogno di un copione. Non ignora gli aspetti disfunzionali, perfino patologici, del copione; ritiene, infatti, che certi casi di psicosi rappresentino una mancanza di formazione del copione e come risultato si ha che l’individuo non ha retroterra su cui basarsi. Per la English il copione è determinante piuttosto che determinato, imprevedibile e creativo piuttosto che riduzionistico, focalizzato sul futuro e non ancorato nel passato.
Integrando i dati derivanti dalla teoria evolutiva, il copione di vita potrebbe essere considerato come un processo continuo di costruzione della realtà, il quale si autodefinisce e talvolta si auto-limita. Importanti decisioni di copione possono essere prese in qualunque momento della vita. Un momento di crisi, durante le quali una persona può sperimentare una grave insufficienza di sé o dell’ambiente che lo circonda, probabilmente favorirà gli elementi più rigidi e disfunzionali del copione della persona stessa (Cornell, 1988).
Proprio nel tentativo di sottrarsi all’attivazione di questi elementi più disfunzionali può venire in aiuto un percorso terapeutico con l’AT che permette agli individui di divenire consapevoli del proprio copione di vita e di modificarlo; la persona può essere aiutata anche a ritornare a quelle prime esperienze che hanno fatto sì che prendesse delle decisioni che allora erano necessarie per la sua sopravvivenza fisica o psichica, ma che ora rappresentano un intralcio; essa può prendere ora la “ridecisione” di comportarsi in modo diverso per vivere una vita più soddisfacente nel presente, una vita più in linea con il benessere psicologico.
Sempre secondo l’AT, l’individuo già nella prima infanzia ha assunto certe convinzioni su se stesso e sulla gente che lo circonda. È probabile che queste convinzioni restino per tutto il resto della vita e si possono riassumere nel modo che segue: 1) io sono OK (I+); 2) io non sono OK (I-); 3) tu sei OK (U+); 4) tu non sei OK (U-). Unendo le posizioni otteniamo le seguenti combinazioni di affermazioni su se stessi e sugli altri: I+U+; I-U+; I+U-; I-U-.
Queste 4 affermazioni sono note come posizioni di vita e rappresentano gli atteggiamenti fondamentali che una persona assume circa il valore essenziale che percepisce in se e negli altri. Non restiamo nella stessa posizione per 24 ore al giorno, ma la cambiamo di continuo. Franklin Ernst (1971) ha elaborato un modo per analizzare questi cambiamenti, che lega più alle operazioni sociali, che ha chiamato l’OK Corral. L’autore preferisce la locuzione OK con me al semplice OK, sottolineando che l’essere OK è questione delle proprie convinzioni riguardo se stessi nonché delle proprie convinzione riguardo l’altro.
Con i miei utenti, affinché possano usufruire di un adeguato benessere psicologico, solitamente mi pongo come obiettivo principale, il raggiungimento della Posizione sana e costruttiva “I+U+: Vado avanti con”. Questa posizione di vita permette di collaborare con l’altro, di vederlo come una risorsa, mentre spesso il paziente si trova ad oscillare tra le posizioni I-U- e I+U- tendendo “a liberarsi di” e “non avere niente da fare con”. I+U+ rappresenta, invece, un atteggiamento nei confronti della vita realistico, positivo, concreto. Permette di non scaricare sull’altro le proprie responsabilità e di non colpevolizzare se stessi, svalutandosi, per ciò che non è andato a buon fine. Chi è in questa posizione si sente uguale nella differenza e riuscirà a sfuggire i pregiudizi.