2 - Studio di Psicologia del Dr. Cannizzaro - Trapani

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Livello 2
 

Il mio stile personale nell’uso della psicoterapia analitico transazionale: principali approcci e concetti che metto maggiormente in rilievo.

 
Come terapeuta analitico transazionale mi prefiggo di individuare in che maniera il cliente si blocca, ossia aiutarlo a collegare come una situazione problematica può essere legata e dipendente da un suo “modo di fare” che risulta disfunzionale e non contribuisce al suo benessere. Pertanto uno dei primi compiti che mi pongo è quello di esplorare i comportamenti della persona nelle relazioni, comprendere le motivazioni per cui a volte ci si sente a disagio ed individuare quali siano le modalità più opportune, per quel cliente, per evitare il disagio e raggiungere un benessere psicofisico.
 
Mi baso sull’assunto fondamentale che ogni individuo è Ok ed è responsabile delle decisioni che prende e che può decidere di cambiarle quando non le vede più funzionali (Berne, 1961). Secondo questa visione, paziente e terapeuta hanno pari valore ma competenze diverse e il rapporto che si instaura è di tipo IO sono OK e TU sei OK (I+U+). Con un ascolto attivo ed empatico mi propongo di cogliere i bisogni del paziente, mettendo a disposizione le mie conoscenze in modo da non impormi, ma di collaborare.
 
Generalmente, dopo una prima fase di raccolta dei dati (visivi, uditivi e controtransferali), costruisco un’ipotesi utile alla formulazione di una prima diagnosi clinica ed infine mi concentro sulla stipula di contratto che Berne (1966, 263) stesso definisce “un esplicito impegno bilaterale per un ben definito corso d’azione”. Nel contratto di trattamento il paziente definisce chiaramente quali cambiamenti vuole fare e specifica di essere disposto ad essere parte attiva nel cambiamento.
 
“Il paziente viene responsabilizzato dall’inizio a porsi come controparte attiva di un professionista il cui compito non è quello di risolvere i problemi del paziente, bensì quello di aiutare a comprendere come finora si è bloccato dal risolverli da solo” (Novellino, 1998, 49).
 
Berne (1961) asserisce che questo obiettivo va perseguito sin dall’inizio della terapia e che il terapeuta non deve condizionare il paziente verso una scelta o l’altra, bensì deve aiutarlo a prendere coscienza di come e perché riesca a mantenere un impegno adulto verso ciò che si propone.
 
Nel formulare il contratto con un cliente presto molta a attenzione agli obiettivi che lo stesso si prefigge di raggiungere e considero quelli che possono essere gli aspetti più inconsci e manipolativi che l’utente potrebbe utilizzare per portare avanti il suo Copione.
 
Per facilitare l’uscita dal copione del cliente è necessario verificare quanto egli sia in grado di distinguere il contenuto di uno Stato dell’Io (SdI) da un altro, difatti può succedere che il contenuto di due SdI sia mescolato o che la persona non riesca ad entrare o ad uscire da uno SdI; Berne chiamò questi due problemi contaminazione ed esclusione (Berne, 1961).
 
Una volta individuato il “blocco” del paziente mi occupo di “decontaminare” l’Adulto del cliente, con l’obiettivo strategico di rendere il cliente consapevole che il materiale che riteneva Adulto è in realtà appartenente al Genitore o al Bambino. La Decontaminazione ha la funzione di creare un “Io osservante” che nella fase successiva di Deconfusione possa aiutare l’utente a reintegrare il materiale arcaico fissato (Novellino, 1998). La Deconfusione, che consiste nell’identificazione dei bisogni inespressi del Bambino, è la fase strategica che porta alla risoluzione del conflitto che viene elaborato ed integrato. In questa fase mi avvalgo sia delle tecniche Berniane (interpretazione e cristallizzazione) sia del Modello della Ridecisione dei Goulding (1979). Gli autori sottolineano il ruolo attivo del bambino nella strutturazione del Copione. I messaggi negativi esterni inviati dalle figure significative sono visti come convinzioni positive profonde, ma che hanno avuto anche origine dalla elaborazione, ovvero dall’interpretazione degli eventi, da parte del bambino piccolo (Goulding, 1979). Questi messaggi possono diventare da un lato fonte di malessere ma di contro hanno permesso a quel bambino sicurezza e protezione, e una volta cresciuto, durante il processo ridecisionale, può decidere liberamente di rinunciare e ridecidere cosa oggi è meglio per lui e cosa desidera di diverso. Ritengo che il ruolo del terapeuta sia quello di “facilitatore” del processo di cambiamento del paziente; il terapeuta, attraverso tecniche di origine gestaltica (le due sedie, la drammatizzazione del sogno o degli eventi) aiuta il paziente a esprimere le emozioni coartate. Non basta solo la drammatizzazione delle scene arcaiche o immaginarie; i Goulding sostengono che se tutto fosse limitato a creare queste scene e a recitare i vari ruoli, il cliente continuerebbe a rivivere la stessa scena, credenze ed emozioni del passato senza cambiarle. Quindi il ruolo dei terapeuti è quello di ascoltare e osservare ogni secondo della scena per scoprire ciò che “manca” al fine di aiutare il cliente a rivivere il peso adattivo della vecchia decisione e la sofferenza che questa ha comportato per poi rinunciare al suo vittimismo e ridecidere, trovando opzioni più valide per il suo benessere.
 
 
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